Avvocato Domenico Esposito
 

 

 

L’IMPRESA CHE DICHIARI PER PIU’ ANNI CONSECUTIVI PERDITE RILEVANTI E AMPIA DIVARICAZIONE TRA COSTI E RICAVI PUO’ ESSERE SOTTOPOSTA A VERIFICA FISCALE

 

Anche in caso di registrazioni contabili formalmente ineccepibili, il fisco può procedere ad accertamento induttivo in presenza di elementi (richiesti dal D.P.R. n. 600, art. 39) che possono far presumere l'inaffidabilità delle registrazioni contabili del contribuente.

La Cassazione ,motiva: “La circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonchè una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell'art. 39 succitato, a meno che il contribuente non dimostrino concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate (cfr. per tutte, Cass. Civ. sent. n. 21536 del 2007).”

“Nella fattispecie in esame, tale anomalia è significativa ed ulteriormente aggravata dal fatto che, malgrado i risultati negativi ottenuti per cinque anni, per come risultano dalla contabilità esaminata e disattesa prima dai verificatori e poi dall'Ufficio, la società avrebbe insistito nella stessa attività, come rilevato in sentenza in palese contrasto con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell'antieconomicità del comportamento della contribuente che inspiegabilmente si sarebbe decisa ad aprire un altro esercizio contiguo".

 

 

Corte di Cassazione, Sentenza 2.10.2008 n.24436

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, L. n.825 del 1971, art. 10, art. 2729 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 eart. 2697 c.c., nonchè dell'art. 12 preleggi e art. 1362 c.c. per non avere la C.T.R., così come la C.T.P., riesaminato, come richiesto dalla contribuente, i criteri adoperati sia dai verificatori che dall'Ufficio nel procedere all'accertamento.

Contesta, in primo luogo, parte ricorrente il fatto che si sia proceduto all'accertamento induttivo in assenza di quegli elementi che sono richiesti dal D.P.R. n. 600, art. 39 tali da far presumere l'inaffidabilità delle registrazioni contabili del contribuente (formalmente ineccepibili), presunzioni che devono essere gravi precise e concordanti; elementi che si è ritenuto di riscontrare nel fatto che la società aveva contabilizzato le scorte in base al valore anziché per quantità e per avere aperto un locale ristorante attiguo a quello già esistente malgrado quest'ultimo fosse in perdita già da cinque anni.

La società contesta, inoltre, anche il criterio di riscontro usato dagli accertatori per desumere il presunto reddito fondato sulle quantità dei materiali utilizzati per l'attività e sul loro valore di mercato, ritenendolo astratto e non adeguato dato che il calcolo della produttività è molto complesso e deve tenere conto anche di altri requisiti quali il personale, la clientela, l'oggettiva ricettività del locale ecc..

Rileva, altresì, che la C.T.R. così come l'ufficio e la C.T.P., si sono affidati alle conclusioni del p.v.c. basate su presunzioni prive di quegli elementi prescritti dalla legge e senza riscontrarne le risultanze, come sarebbe stato suo compito, anche in raffronto a quanto sostenuto dalla contribuente ed alla presenza di contabilità formalmente ineccepibile, invertendo illegittimamente l'onere della prova, ponendolo a carico della parte privata, incombendo invece all'A.F. dimostrare l'esistenza di fatti costitutivi della maggiore pretesa finanziaria.

Così operando la C.T.R. avrebbe violato il principio di tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente sancito dallo Statuto del contribuente e dai principi di giurisprudenza, affidamento applicabile anche ai rapporti precedenti all'entrata in vigore della L. n. 212 del 2000 in forza della regola dell'interpretazione adeguatrice alla Costituzione.

Rileva, ancora, parte ricorrente che può farsi uso del metodo di accertamento induttivo solo quando sussistono gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dall'attività svolta o dagli studi di settore, elementi non riscontrabili nella specie.

Con la seconda censura si denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c.,n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la C.T.R. omesso di esaminare e dare una spiegazione in ordine alle deduzioni dell'appellante, affermando che esse avrebbero potuto essere valutabili solo qualora fossero state vere le scritture contabili considerate a priori false, valutando come vera la posizione dell'amministrazione senza verificare quella dell'altra parte in completa violazione del principio d'imparzialità.

La società, infine, insiste come nei precedenti gradi di giudizio, sull'insufficienza della motivazione per relationem al p.v.c., basata sul fatto della condivisione su quanto in esso contenuto, dando per scontato che fosse sufficiente per il diritto di difesa del contribuente l'avere presenziato alle operazioni e la possibilità meramente astratta di contestazione in corso di accertamento.

Il ricorso è infondato.

La censura relativa alla violazione di legge con particolare riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies,citati, è infondata.

In effetti, quest'ultima norma dispone fra l'altro, al comma 3, che gli accertamenti condotti ai sensi del menzionato art. 39 (comma 1, lett. d) "possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore",cui si riferisce il precedente art. 62 bis.

In virtù di tale norma,l'ufficio - allorchè ravvisi "gravi incongruenze" fra i valori dichiarati e quelli ragionevolmente attesi in base alle caratteristiche dell'attività svolta od agli "studi di settore" - può fondare l'accertamento di maggiori ricavi, rispetto a quelli dichiarati, anche su tali "gravi incongruenze" e, quindi, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 39 citato: il che costituisce, in pratica, un ulteriore elemento presuntivo, di carattere legale, certamente ammissibile anche in presenza di contabilità formalmente regolare (come, in genere, si verifica in presenza di gravi, precise e concordanti presunzioni: Cass. nn. 106492001, 84941998 84941998 , 45551998).

Peraltro anche il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), richiamato, dispone che, in tema di accertamento delle imposte, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare come nella specie, è consentito procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi, senza riscontro analitico della documentazione, secondo il metodo cosiddetto"induttivo", purché l'accertamento in rettifica risulti fondato su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall'art. 2729 cod. civ. e desunte da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie e la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonchè una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell'art. 39 succitato, a meno che il contribuente non dimostrino concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate(cfr. per tutte, Cass. civ. sent. n. 21536 del 2007).

Nella fattispecie in esame, tale anomalia è significativa ed ulteriormente aggravata dal fatto che, malgrado i risultati negativi ottenuti per cinque anni, per come risultano dalla contabilità esaminata e disattesa prima dai verificatori e poi dall'Ufficio, la società avrebbe insistito nella stessa attività, come rilevato in sentenza in palese contrasto "con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell'antieconomicità del comportamento della contribuente che inspiegabilmente si sarebbe decisa ad aprire un altro esercizio contiguo".

Nè le giustificazioni addotte dalla contribuente appaiono ragionevolmente tali da superare quanto affermato e dall'(…) e dai giudici del merito.

Anche il denunciato vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione è inesistente.

Occorre in primo luogo chiarire che in materia di imposte sui redditi, l'avviso di accertamento deve porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni della pretesa tributaria.

Il relativo onere di motivazione, posto a carico dell'Amministrazione, può essere assolto "per relationem", mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione di verificatori degli Uffici erariali o della Guardia di finanza, notificato o consegnato al contribuente, senza che occorra per gli avvisi emessi in data anteriore all'entrata in vigore della L. n. 212 del 2000 che siano allegati i documenti cui l'atto fa riferimento.

Ne consegue che, ove vertesi (come nella specie) in ipotesi, di dedotta motivazione "per relationem" dell'atto di accertamento - il quale richiamava un verbale di constatazione effettuato nei confronti della contribuente consegnato o notificato, il giudice tributario è solo tenuto a verificare se gli atti notificati alla contribuente contengano gli elementi necessari ad individuare la pretesa tributaria, rivestendo, in caso positivo, l'eventuale richiamo ad altri documenti carattere aggiuntivo e non essenziale (cfr., ex multis, Cass. civ. sentt. nn. 4989 del 2003 e 12394 del 2002).

La conoscenza del verbale di constatazione non è mai stata contestata dalla contribuente e per quanto attiene ai giudici tale conoscibilità risulta dalla sentenza nella quale si fa riferimento ad una quantità di elementi che ne presuppongono la piena cognizione.

La C.T.R. osserva, inoltre, che, nel caso di specie, l'ufficio avrebbe legittimamente applicato il metodo induttivo per la ricostruzione degli esatti ricavi, giungendo a risultati accettabili, in presenza di un dato certo ed obbiettivo costituito dalle quantità di commestibili in concreto utilizzati dal ristorante, partendo da quantità di materie prime per ogni  vivanda senza altro superiore a quella normalmente impiegata, criterio dotato di assoluta attendibilità o quantomeno maggiore di quello dato dal numero di tovaglioli lavati, invocato dalla ricorrente, che non può in alcun modo risultare più attendibile tenuto anche conto, come ragionevolmente supposto dalla C.T.R., della possibilità d'uso, per le pizze, per i pasti dei soci e dei dipendenti, dei tovaglioli di carta.

In realtà, vengono anche enumerati altri dati giustificativi della presunzione di reddito, affermando che relativamente ai pasti consumati dai dipendenti (sei a tempo indeterminato e quattro a tempo determinato) per i quali la società ha invocato la detrazione dalla quantità dei pasti accertati, la stessa non ha mai provato nè il numero degli stessi nè che questi fossero stati somministrati a titolo gratuito.

In base a questi dati,che la commissione regionale ritiene congruamente accertati, il giudice a quo perviene alla conclusione che l'accertamento dell'Ufficio, oltre che legittimo, deve ritenersi valido anche sotto l'aspetto quantitativo stante l'iter logico seguito per la ricostruzione dei ricavi; per cui il risultato dell'accertamento, desunto da tali fatti noti, è logico e conseguente. Peraltro, una volta che l'Amministrazione finanziaria ha provato la fondatezza della pretesa fiscale, è onere del contribuente provare gli eventuali fatti impeditivi o contrari, onere ritenuto non assolto dalla C.T.R..

Appare evidente, quindi, dall'esame della sentenza impugnata, che la motivazione sopra riassunta è esaustiva e coerente sicchè la censura di essa è infondata.

Nè, infine, è compito di questa Corte rivalutare nuovamente tutti gli elementi di fatto già portati all'attenzione del giudice di merito, la cui valutazione, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici.

Il giudice del merito, infatti, ha i lpotere discrezionale di fondare il proprio convincimento su alcune risultanze probatorie anzichè su altre, purchè ne dia adeguata motivazione, dalla quale, peraltro, è sufficiente che risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti si sia formato attraverso una valutazione complessiva delle risultanze probatorie ed appaia logico e coerente il preminente valore attribuito, sia pure per implicito, alle risultanze utilizzate, senza necessità di esplicita confutazione delle altre (cfr., ex multis, Cass. Civ. nn. 10484 e 5235 del 2001).

Sotto tale profilo - in quanto riferibile alla valutazione data dal giudice di merito agli elementi indiziati, esaminati con adeguata e coerente motivazione - la censura sarebbe anche inammissibile, perchè colpirebbe il risultato di un giudizio di fatto, come tale non sindacabile in sede di legittimità.

Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Nulla si deve decidere in ordine alle spese del presente giudizio di Cassazione, poichè in questa fase la parte intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso